Amilcare è un cuoco diventato chef.
Un uomo alle soglie dei sessant’anni che ha superato nel suo lavoro, tutte le tappe necessarie e richieste, per giungere al top. Consegue un misero titolo di studio all’Alberghiero del paese d’origine, che sforna in 40 anni, un solo personaggio affermato nel settore, fuggito subito all’estero per valorizzare la cucina italiana.
Le tappe di Amilcare sono anche chilometriche, percorse su strada, miglia aeree e marine, per allontanarsi dal suo piccolo territorio, dalle trattorie, fast food e raggiungere grandi metropoli salendo la gerarchia professionale.
Prima marmiton, diventa plonger e poi commis (chef de froid). Passa da garde-manger a sous chef sulle navi da crociera, per diventare chef de cuisine all’interno di un resort di lusso, e aiuto chef Executive in un locale stellato.
Finalmente, raggiunge il tanto agognato ruolo di Chef Patron, per una decina di anni, appena in tempo per essere travolto dalla crisi economica che falcidia tutte le risorse e riduce anche i clienti gourmet.
Perciò, a settembre 2010, dopo una stagione estiva deludente, Amilcare, senza proferir parola, per evitare di svalutare se stesso ed il suo lavoro, decide si estendere la professione diventando Kitchen manager.
L’ultima risorsa, da sperimentare, prima di chiudere il suo bellissimo teatro viaggiante di sapori, troppo costoso per i tempi attuali, troppo esigente per i pochi clienti.
Chiudere l’olimpo è l’alternativa, con o senza stelle, prima di venir dilaniati dai debiti.
“In giro c’è bisogno di professionalità” Amilcare confida ad un amico. “Io sarò una sorta di uomo dei miracoli. La soluzione agli incubi di cucina”.
da "Confessioni al ristorante" di Wilma Zanelli