Sul finire d'un giorno d'inverno, nell'ora in cui tutti lì nel piccolo paese di Challand S. Anselme sonnecchiano davanti al televisore, una donna in giovane età, ritorna nel suo rascard nella borgata d'Alesa. Scesa con l'ultimo treno nella stazioncina di Verres, era salita sulla navetta fermatasi nella piazza del municipio. Cammina con la piccola valigia nella mano destra e guarda attraverso le finestre illuminate la vita che si vive.
C'è un gran silenzio. La sera si addensa e le ombre riempiono i giardini. Lontano le figure irreali della notte le riportano quel desiderio. Cammina sino a raggiungere il suo rascard ristrutturato e lì si ferma ad ascoltare il suono di un violino. Quel suono lo conosce bene: torna ogni volta a ricordarle la promessa fatta. Presto sarà il giorno dei re, così lo chiamava la strana signora di Challand che diceva: "Tu non hai bisogno di strani amuleti, nè di compiere strani rituali. Possiedi un portebonheur ancor più efficace. Si catapulterà sulla tua strada, lo riconoscerai, ti seguirà come la tua ombra. Questa è la mia riconoscenza ".
Già, la vecchia signora si sentiva in debito con Elvira che l'aveva salvata da un incidente domestico e che avrebbe potuto trasformarsi in una disgrazia mortale. Per sdebitarsi le aveva regalato un vecchio juke box: "Troverai una canzone ed un filo logico che ti condurrà al tuo portebonheur, ma ricorda: non sarà sempre lo stesso, si modificherà fisicamente, rendendosi ogni volta irriconoscibile. Lo conoscerai solo nella sostanza".
Ed Elvira aveva preso il suo bel juke-box e l'aveva sistemato nel salottino di casa: le piaceva pensare ad un magico folletto che danzava tra le note della sua musica.
Qualche giorno dopo la signora Marzia partì. Doveva aver una gran fretta, a giudicare dal modo furtivo con cui era sparita, senza nemmeno salutarla, dimenticandosi di prendere le cose, chiudere le imposte e lasciare il recapito a cui indirizzare la posta.
Nella sua abitazione, invece, s'era installato un uomo. Elvira era rimasta sconcertata quando, suonando alla porta, aveva sentito una voce maschile rispondere: "Arrivo, un attimo". Con enorme sorpresa aveva trovato un uomo in vestaglia: "Buon giorno, sto cercando Marzia". "Marzia, ma qui non abita nessuna Marzia, e per meglio dire, qui non ha mai vissuto nessuna donna" "Come? Marzia una signora con i capelli scuri, robusta". "Guardi si sta sbagliando. Io mi chiamo Matteo e non sono una donna. Ci sono molte baite, in questa strada che si somigliano" aveva concluso divertito.
E lei aveva lasciato dietro sè quella porta aperta su un corridoio che, ne era certissima, aveva percorso più volte in compagnia della misteriosa Marzia. Tornando nel suo rascard aveva sentito suonare il juke-box. Era convinta d'averlo spento prima d'uscire.
"Cercami, non soltanto nel bisogno, inventami..." dicevano le parole della canzone e le arrivarono dritto al cuore. Come ipnotizzata si sentì trascinare davanti al suo giardino. Il tempo intanto s'era fatto bellissimo. Non c'era nuvola in cielo, non c'era vento neppure. "Marzia la saluta" esordì Matteo materializzatosi davanti a lei. "Allora la conosce" rispose allibita Elvira. "Non si preoccupi, lei sta bene" Matteo era strano, strano il suo sguardo, insolito il sorriso: "Venga a trovarmi più spesso".
Elvira imbarazzatissima rispose: "Appena saprò dov' è finita Marzia.. " .
Chissà che cosa le sussurrò all'orecchio quell'uomo, in quell'inverno senza fine. Chissà che cosa le disse per acquiterare l'agitazione. Lui aveva su Marzia un potere ipnotico. Matteo arrivava in aiuto proprio quando c'era necessità, sembrava suggerirle buoni consigli, le infondeva sicurezza, era foriero di belle novità, l'uomo in cui stavano riposte le grandi aspettazioni. Era contagioso, impetuoso.
Come un regista l'aveva diretta con acutezza verso una meta e lei s'era lasciata guidare come un'attrice di teatro. La vita era il loro proscenio. La recita durò un anno e poi il regista s'era dissolto come Marzia, nel nulla, ed Elvira era rimasta sola. Almeno fisicamente Matteo non c'era più, ma ancora le parlava dentro, le consigliava le stade da percorrere, le scaldava il cuore.
E' di nuovo l'alba del giorno dei re. Un freddo 4 gennaio dell'anno successivo. Elvira ritorna al rascard di Matteo. Suona ed attende. Poco dopo la porta si spalanca. Lei entra nel corridoio, mentre il suono di un violino le ricorda la promessa fatta. Un bellissimo ragazzo le viene incontro sorridendo: "Sto cercando Matteo". "Matteo non è più qui". "Debbo parlargli, solo un attimo, la prego" "Non insista, lui non può raggiungerla". "Lo farò io, mi dica dove si trova" "Non insista, non è facile spiegarle, non credo possa..." ribatte lui.
"Senta, io devo capire qualcosa. So che esiste una relazione tra questa casa e la sparizione di Matteo e Marzia. La sua presenza oggi e questo giorno".
"Mi segua". Elvira viene condotta in una grande stanza senza finestre con un armadio nero a tutt'altezza. "Quello che vedrà non le piacerà" anticipa il giovane ed indica col dito un punto preciso. Elvira s'avvicina all'armadio e lo apre.
Wilma Zanelli - 1°parte