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Luoghi del cuore: 280 passi dalla finestra al quinto piano


"Questo vecchio cortile, una strada che porta alla mia vecchia scuola...sempre sarai nella mia tasca a destra in alto..." Le note della canzone mi riportarono alla mente la via della mia fanciullezza e neanche tanto fatalmente ci ritornai. Quanti anni erano trascorsi.... decenni su decenni. Posai l’auto prima della piazza e m’incamminai alla ricerca di quel miracoloso Genius Loci. Fianco a me, una bimba bruna, con la lunga coda di capelli scuri e un cardigan giallo limone. La sua ombra disegnata dal sole d’inverno, era accompagnata da un gatto che s’era aggiunto al nostro piccolo corteo: io, la bimba in giallo, il gatto ed il Genius. Eravamo in 4, anche se l’ occhio umano avrebbe visto solo una donna dai capelli biondo cenere e le scarpe azzurro cielo.

“Portami con te, ti porterò con me” il banale graffito sul muro, era già foriero di mille sensazioni. Le stesse che proviamo ogni anno nel riveder la neve, l'albero di Natale ed un amico lontano… La scuola era ancora lì, grande, deserta, ma fatiscente, con i cancelli blindati e vetri rotti, il giardino incolto e piccoli segnali di strane occupazioni. Due entrate. La prima, oggi sede di tante associazioni, con una grande scalinata rivestita in mattoni a vista. Almeno così era nei miei ricordi, ma a ben contare, gli scalini erano solo quattro. Anche la mamma era convinta ce ne fossero di più. Da lì, avevamo fatto scappare di paura un losco individuo, col fiato corto e le mani viscide, che aveva messo gli occhi sulle bambine. Oggi lo chiameremmo pedofilo. A quei tempi l’orco fu fermato sul nascere e tolta la maschera, si dimostrò per ciò che era: un perdente e si dileguò. Seppi poi, negli anni, che la morte se l’era portato via. E non mi dispiacque. Ricordo anche la mia insegnante, unica, per tutto il ciclo di scuola elementare. Una donna severa, dura con i buoni. Avrebbe avuto pieno titolo per una denuncia di abuso di mezzi di disciplina e “correzione”, nei confronti di chi indisciplinato non era. Oggi la ringrazio per quel modo rude e dittatoriale, totalitario d’insegnare: superare incolume quei 5 anni di scuola, mi ha forgiata per diventare una donna senza paure. Inizio a contare i passi verso il palazzo, che vedo lassù, con quella magica finestra al quinto piano e quella figura femminile che si muoveva dietro ai vetri. Si trova alla fine della strada in salita, al suo opposto la piazzetta, con i lecci alti e la boite rossa delle Poste, che ha sostituito la vecchia cabina telefonica.

Comincio a salire. La macelleria dove acquistavo il “fegato della mamma” ha lasciato il posto ad un salone di bellezza, il minimarket è diventato un’altra cosa, la tabaccheria, articoli regalo ad angolo, è ora abitazione privata. Leggo i cognomi sui campanelli. Non riconosco quasi nessuno. Ricordo però una coetanea antipatica, piena di boria, quella è rimasta al suo posto, il suo nome è ancora sul portoncino blindato. Sono certa che oggi non riderebbe più di me. Saprei come zittirla. I passi sono diventati 200 e siamo ancora in quattro, io, la bimba con la coda di capelli scuri, il gatto e il Genius Loci, a camminare armonicamente, in salita. A sinistra la strada porta alla casa di una vecchia compagna di scuola, Emanuela che aveva la mamma abile con ferri a maglia ed uncinetto. Da questa posizione, spunta il campanile di S. Maurizio, integro, intatto, in ottime condizioni, che oggi come cinquant’anni fa, vigila e pare governare in silenzio su ogni cosa. Forse là dimora il Genius Loci. A destra abitava Giorgio, un ragazzetto biondo tanto carino di qualche anno più grande di me, chissà che destino avrà avuto. Riprendo a contare 201, 202, 203, mentre il palazzo s’avvicina e la finestra del quinto piano, è sempre più grande. L’ imponente villa, almeno così appariva ai miei occhi di bambina, è diventata una nursery, coi rivestimenti di legno che avrebbero bisogno di una pittura. Un cartello minaccioso campeggia nel cortile: “Non lasciate le borse incustodite in auto”.

Un passo più avanti e sono arrivata a destinazione. Il cancello, quello del mio palazzo, è chiuso. Butto dentro lo sguardo e riconosco la discesa su cui ho imparato a volare coi roller di metallo, duri, pesanti, con le ruote che facevano male alle caviglie.… Anche la discesa la ricordavo più ripida. Assaporo ogni minuto, di questo memoriale. Mio fratello giocherellone che mi tagliava la strada in bicicletta, buttandomi a terra, la nonna che veniva a trovarci la sera e che non volevamo andasse via, mio padre sempre un po’ rigido, nei confronti del quale non volevo mai fare passi falsi, sbagli, errori, lui che arrivava con uno spartito musicale, qualche 45 giri di artisti dalla bella voce impostata, che mi avrebbero, a suo dire, insegnato a cantare, e la mia mamma che profumava di talco, con le giunchiglie fresche sul tavolo e i pavimenti lucidi a cera.

Lei che aspettava il mio rientro affacciata alla finestra del quinto piano e che da quel punto privilegiato, seguiva ogni mio passo, alzando la mano di tanto in tanto per salutare. Ciao Mamma.

280 passi. Sono arrivata. Guardo l’androne. Non è cambiato. Han solo sostituito la pulsantiera dei campanelli.

Di fronte il bel palazzo azzurro che oggi, invece ha crepe spaventose anche sui sottobalconi deteriorati. Logori e fatiscenti. Questa via è calata di valore, ha perso la sua verve e trovo segnali sconfortanti sulla diminuzione di benessere dei suoi abitanti. All'epoca lì viveva un Brigadiere con figli, un Finanziere con figli, un avvocato con figli, un imprenditore con figli, cani ed automobili, un gioielliere e una signora che, dopo averci fatto accomodare in salotto, spostava il tappeto per non sporcarlo. Che brutta caduta di stile! La mamma che ha un orientale autentico, non l’ha fatto mai, per educazione.

La strada della mia infanzia finisce qui.

Oggi la definirei un calice di bollicine un po’ annacquato, ma spumeggiante e pieno di verve come il mio maglioncino giallo. 280 passi di un mondo, il mio che già profumava di cose che non avrei potuto vivere dentro quei confini. Il gatto mi lecca lo stivale e se ne va. E' tempo di andare anche per me. Scendo dal lato opposto della strada e mi volto ancora.

Lassù al quinto piano hanno verandato il balcone e messo una tenda alla finestra della mamma. Già, quella resterà sempre la finestra dalle tapparelle verdi, della mamma, che s’apriva per far entrare Gesù Bambino la notte del 24 e la Befana di gennaio e la vecchietta del dentino….

Ma a volte faceva troppo freddo e la mamma diceva che Gesù Bambino sarebbe entrato lo stesso, perché sapeva come fare. Questo è un luogo del cuore e mi sento fortunata perché ne ho diversi e li ho conservati tutti. Qualcuno mi ha detto che debbo avere grande cuore per contenerli. Sarà che ho imparato a far spazio alle belle cose, cercando d’ammucchiare le altre in un cantuccio.

Più tardi proverò a raccontarlo alla mamma, cercando parole che somiglino ad una fiaba, parole di panna, dove il Genio, poi, fa la magia. Stassera scriverò questa fiaba e gliela leggerò. E aspetterò un’altra magia. Quella del Genius Loci. Solo per lei, per noi. Tatina.                                                                                                                                                                                                                                                             Wilmaz.

 



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